mercoledì 6 giugno 2007

Childfree? In Italia è ancora tabù

Riporto una parte di questo intervento che ho trovato sulla Rete:

http://www.rientrodolce.org/index.php?option=com_content&task=view&id=339&Itemid=1


"Sostenere la cultura childfree non significa voler convincere le persone che invece i figli li desiderano a non procreare, perché la cultura childfree si fonda proprio su questo assunto e cioè che la procreazione deve essere una libera scelta fondata sugli interessi e le inclinazioni individuali.

In qualsiasi società ci saranno sempre persone che amano prendersi cura dei bambini, che gradiscono la loro compagnia, che trovano appagante il ruolo di genitore ed è quindi giusto che siano queste persone a perpetuare la specie umana e non coloro che invece per carattere, per interessi, per stile di vita, per inclinazioni personali non hanno la disponibilità né psicologica, né materiale ad assumere il ruolo di genitore.

Accade spesso infatti che persone che non hanno alcun interesse né desiderio verso la procreazione vi siano indotte da stereotipi culturali ancora diffusi come quello che la nascita di un bambino costituirebbe il coronamento, la massima realizzazione di un rapporto d’amore tra due persone, come quello ancora più insidioso che la maternità è la priorità esistenziale di qualsiasi persona di sesso femminile, quando non anche l’essenza stessa della persona di sesso femminile, sicché la donna - senza l’accessorio del figlio - è una figura incompleta, vuota, priva di senso e inutile.

Ancora diffusa è anche l’idea che mettere al mondo un figlio risolva i problemi esistenziali o possa dare un significato e un freno ad una vita disordinata. In particolare quest’ultima concezione è forse responsabile dei danni che tanti figli hanno subito da genitori mentalmente instabili, depressi, caratterialmente deviati che hanno pensato di risolvere i propri problemi regolarizzando la propria esistenza attraverso l’opzione familistica e procreativa.

Spesso gli individui che decidono di non avere figli vengono accusati di egoismo quasi che da loro soli dipendesse la continuità della specie umana. Le società complesse, non afflitte in maniera stringente dal problema della consistenza numerica, come potevano essere le piccole tribù delle società arcaiche, possono permettersi che una certa percentuale dei loro membri si sottragga alla funzione riproduttiva, come testimonia anche l’istituzione cristiana del monachesimo e del celibato sacerdotale. È ovvio che la scelta di escludere totalmente la procreazione dalla propria vita resterà sempre una scelta minoritaria, visto che comunque la maggior parte delle persone ha una buona disposizione verso gli infanti e magari differisce soltanto la procreazione magari per motivi economici. E tuttavia per quanto si tratti di una scelta minoritaria, le persone che l’hanno fatta hanno diritto ad essere rispettate in quanto tali dalla società (senza che si tenti di negare la rilevanza della loro volontà di non procreare, assimilandola ad un capriccio passeggero) e soprattutto devono poter usufruire della possibilità di difendersi fisicamente dalla procreazione indesiderata attraverso la sterilizzazione volontaria (legatura delle tube o loro occlusione con il metodo Essure nella femmina e vasectomia nel maschio) che per queste persone è la forma di contraccezione più idonea, in quanto assicura il massimo del successo con la totale assenza di effetti avversi. Infatti, per una persona che desidera escludere la procreazione dalla propria vita la non reversibilità del mezzo contraccettivo non è uno svantaggio, ma al contrario è qualcosa di desiderato.

Ma il problema è che, soprattutto in Italia, anche il solo dichiararsi childfree è un tabù, i rotocalchi sono pieni di bellissime “dive” ultratrentacinquenni, che con tutta evidenza hanno escluso la procreazione dalla propria vita, ma che continuano a sentirsi in dovere (ovviamente per non perdere in popolarità) di dire che desiderano un figlio e di volerlo fare non appena arriverà il momento opportuno..."

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