martedì 9 giugno 2009

La depressione post-natale dei papà

Secondo una ricerca pubblicata nel 2006 sulla rivista americana Pediatrics, il 10% dei padri soffre di depressione post-partum, un numero di poco inferiore a quello di mogli e compagne (14%).

Spesso la tristezza arriva a rovinare il rapporto di coppia.
Ma non è dannosa solo per la relazione: può arrivare a compromettere la sana crescita dei bambini.

Lo scrittore Michael Lewis ha messo nero su bianco quello che finora gli uomini non osavano ammettere nel libro Home game, an accidental guide to fatherhood.

Racconta dell'infelicità che lo ha colto immediatamente dopo la nascita dei suoi tre figli. «Ho aspettato che la gioia mi assalisse, ma ho provato solo imbarazzo e indifferenza. Ho aspettato di sentire l'incanto, quanto in realtà ero annoiato. Per un attimo mi sono sentito colpevole, ma d’altra parte ho realizzato che tutti gli alti padri intorno a me stavano fingendo di sentire una cosa quando in realtà ne provavano un’altra».


martedì 19 maggio 2009

Questa casa non è un albergo

Consiglio a tutti, DINK convinti o meno, coppie con o senza figli, di seguire almeno una volta la trasmissione radiofonica "Questa casa non è un albergo" che viene trasmessa ogni sabato alle 12.00 su Radio24 ed è dedicata al rapporto genitori-figli adolescenti,

la consiglio perché, oltre ad essere un'ottima trasmissione di informazione condotta con molto equilibrio, all'interno del palinsesto di quella che considero la più intelligente ed equilibrata radio che esista nell'etere italiano,

questa trasmissione ha due grandi meriti:

- il primo, diretto e voluto dai conduttori, di aiutare i genitori che stanno vivendo momenti di conflittualità con i propri figli adolescenti a risolverli o, per meglio dire, gestirli efficacemente (evitando la depressione, aggiungo io)

- il secondo, indiretto, di convincere definitivamente le coppie DINK, se qualcuna non lo fosse del tutto o avesse in programma di cambiare idea in futuro, di aver fatto la scelta giusta ;-)

lunedì 18 giugno 2007

Il Decalogo dei "Childless by choice"

1) Ci piacciono i bambini degli altri.
2) Amiamo essere zie o zii ad honorem perché sappiamo che non siamo noi a crescerli.
3) Preferiamo che i “nostri “ bambini abbiano più di 2 zampe.
4) Impazziamo quando un bambino sbava.
5) Preferiamo pulire la lettiera del gatto o fare il bagno antipulci al cane piuttosto che cambiare un pannolino.
6) Non sentiamo i rintocchi dell’orologio biologico.
7) Siamo stanchi di essere trattati come pazzi, guardati con ostilità e sospetto per le nostre scelte e di sentirci dire che c’è qualcosa di sbagliato in noi perché non vogliamo riprodurci.
8) Rispettiamo la scelta di coloro che hanno deciso di avere dei figli.
9) Ci aspettiamo il medesimo rispetto da coloro che hanno figli per la nostra scelta di non averne.
10) Pensiamo che per sentirsi una “famiglia” sia sufficiente essere in due.
11) Aspettiamo con ansia il giorno in cui i nostri parenti ed amici accetteranno la nostra scelta.

martedì 12 giugno 2007

"Figli? No, grazie!" - articolo del Sole 24 Ore

http://www.golemindispensabile.ilsole24ore.com/index.php?_idnodo=8722

"«Vi aspettiamo. La vostra vacanza non sarà disturbata dagli schiamazzi dei bambini...».
(da un annuncio pubblicitario di un resort toscano vietato ai minori)

Che sta succedendo nel Paese dove da sempre i figli sono considerati "piezzi 'e core" e dove si pensava che il desiderio di maternità fosse universalmente diffuso, ma la fecondità è ormai da anni una delle più basse al mondo?

Pare proprio che sia in corso una sorta di silenziosa mutazione: donne stabilmente in unione sembrano apprezzare gli agi di una vita senza figli, gestita con molta libertà e senza troppi vincoli. Si scoprono sprovviste dell'istinto di maternità e dichiarano schiettamente che la loro vita è già così straripante di impegni ed interessi che un figlio sarebbe proprio di troppo!...

...Sembra che si stia diffondendo anche in Italia la scelta volontaria di restare senza figli. Fino a pochi anni fa si pensava che il fenomeno fosse del tutto marginale e neppure meritevole di uno studio specifico. Si riteneva che restare senza figli fosse il risultato inatteso di una serie di circostanze della vita che impedivano in qualche modo la fecondità (ad esempio l'esclusione dal matrimonio). Quasi nessuna giovane donna dichiarava di non volere figli, mentre oggi secondo l'Eurobarometro (Goldstein et al. 2003) circa il 6% delle italiane tra 20 e 30 anni afferma chiaramente di non avere intenzione, in futuro, di diventare madre: una percentuale non trascurabile e soprattutto in rapido aumento..."

mercoledì 6 giugno 2007

Childfree? In Italia è ancora tabù

Riporto una parte di questo intervento che ho trovato sulla Rete:

http://www.rientrodolce.org/index.php?option=com_content&task=view&id=339&Itemid=1


"Sostenere la cultura childfree non significa voler convincere le persone che invece i figli li desiderano a non procreare, perché la cultura childfree si fonda proprio su questo assunto e cioè che la procreazione deve essere una libera scelta fondata sugli interessi e le inclinazioni individuali.

In qualsiasi società ci saranno sempre persone che amano prendersi cura dei bambini, che gradiscono la loro compagnia, che trovano appagante il ruolo di genitore ed è quindi giusto che siano queste persone a perpetuare la specie umana e non coloro che invece per carattere, per interessi, per stile di vita, per inclinazioni personali non hanno la disponibilità né psicologica, né materiale ad assumere il ruolo di genitore.

Accade spesso infatti che persone che non hanno alcun interesse né desiderio verso la procreazione vi siano indotte da stereotipi culturali ancora diffusi come quello che la nascita di un bambino costituirebbe il coronamento, la massima realizzazione di un rapporto d’amore tra due persone, come quello ancora più insidioso che la maternità è la priorità esistenziale di qualsiasi persona di sesso femminile, quando non anche l’essenza stessa della persona di sesso femminile, sicché la donna - senza l’accessorio del figlio - è una figura incompleta, vuota, priva di senso e inutile.

Ancora diffusa è anche l’idea che mettere al mondo un figlio risolva i problemi esistenziali o possa dare un significato e un freno ad una vita disordinata. In particolare quest’ultima concezione è forse responsabile dei danni che tanti figli hanno subito da genitori mentalmente instabili, depressi, caratterialmente deviati che hanno pensato di risolvere i propri problemi regolarizzando la propria esistenza attraverso l’opzione familistica e procreativa.

Spesso gli individui che decidono di non avere figli vengono accusati di egoismo quasi che da loro soli dipendesse la continuità della specie umana. Le società complesse, non afflitte in maniera stringente dal problema della consistenza numerica, come potevano essere le piccole tribù delle società arcaiche, possono permettersi che una certa percentuale dei loro membri si sottragga alla funzione riproduttiva, come testimonia anche l’istituzione cristiana del monachesimo e del celibato sacerdotale. È ovvio che la scelta di escludere totalmente la procreazione dalla propria vita resterà sempre una scelta minoritaria, visto che comunque la maggior parte delle persone ha una buona disposizione verso gli infanti e magari differisce soltanto la procreazione magari per motivi economici. E tuttavia per quanto si tratti di una scelta minoritaria, le persone che l’hanno fatta hanno diritto ad essere rispettate in quanto tali dalla società (senza che si tenti di negare la rilevanza della loro volontà di non procreare, assimilandola ad un capriccio passeggero) e soprattutto devono poter usufruire della possibilità di difendersi fisicamente dalla procreazione indesiderata attraverso la sterilizzazione volontaria (legatura delle tube o loro occlusione con il metodo Essure nella femmina e vasectomia nel maschio) che per queste persone è la forma di contraccezione più idonea, in quanto assicura il massimo del successo con la totale assenza di effetti avversi. Infatti, per una persona che desidera escludere la procreazione dalla propria vita la non reversibilità del mezzo contraccettivo non è uno svantaggio, ma al contrario è qualcosa di desiderato.

Ma il problema è che, soprattutto in Italia, anche il solo dichiararsi childfree è un tabù, i rotocalchi sono pieni di bellissime “dive” ultratrentacinquenni, che con tutta evidenza hanno escluso la procreazione dalla propria vita, ma che continuano a sentirsi in dovere (ovviamente per non perdere in popolarità) di dire che desiderano un figlio e di volerlo fare non appena arriverà il momento opportuno..."

Childfree o madri martiri?

Riporto questo interessantissimo intervento di una donna direttamente dal suo blog Mondodonna:

http://mondodonna.blogosfere.it/2006/04/childfree-o-mad.html

"...una recente ricerca (riportata dalla Bbc) ha dato nuova forza a queste donne che sono ormai (quasi) libere di dire “no, grazie”, senza sentirsi additare come mostri.
Esistono anche un’associazione UK e una mondiale che spiegano tra l’altro la sottile distinzione linguistica: non child – less, suffisso che indica privazione e quindi una scelta imposta dalla natura o dalle circostanze, ma child – free, liberamente e consapevolmente...

...A me non può che fare piacere, visto che non ho figli, non dico che non ne avrò mai, ma anche se così dovesse essere, non sarà un dramma.
Ma soprattutto voglio che una scelta personale di vita non venga mai più stigmatizzata, additata, vivisezionata. Credo non sia più da dimostrare a nessuno che la vita di una donna (e di una coppia) possa essere ricca, allegra e piena di senso anche senza figli..."

lunedì 28 maggio 2007

"Il coraggio di essere DINK" - il libro

Sottotitolo: "Vizi e virtù della “coppia single”

Autore: Michela Pettinà
Anno: 2006
Editore: Effedue Edizioni
Prezzo: € 10

L’uomo e la donna dink vengono spiati nelle loro vicissitudini quotidiane, dalle carambole nel traffico per schivare i monovolume delle mamme “pargolo-dipendenti”, alle transumanze del sabato, alla ricerca dell’outlet più trendy e al contempo più conveniente.

Sempre insieme, almeno per quanto gli impegni professionali possano loro permettere, organizzano spesa, week end, vacanze, e persino il loro matrimonio, con l’ausilio di computer portatile e funzioni matematiche, convinti, spesso a torto, di riuscire ad evitare quegli inconvenienti che la vita immancabilmente riserva a chiunque.

Con brevi intrusioni nella loro vita ad “alto livello reddituale”, il libro racconta le loro nevrosi di coppia perfetta e quelle, anche più complesse, del vario genere umano con cui vengono in contatto.

"Molte persone, soprattutto donne, non hanno ancora capito che si può essere felici, da sposati, anche senza sfornare un pargoletto entro i primi due mesi di convivenza. Non che il libro, comunque, voglia essere il manifesto di una qualsivoglia teoria di “supercoppia”: racconta semplicemente come vivono e si divertono i dink, senza pannolini da cambiare, bimbi da portare al mare “perché c’è lo iodio” o ingombranti monovolume, tappezzati di Titti e Topolino, da parcheggiare...

I dink, pur con le loro schizofrenie, vivono un rapporto di coppia molto equilibrato e soddisfacente, come invece non capita a molte famiglie con figli a carico. Questo non vuol dire che chi è dink per i primi anni di matrimonio sia destinato ad esserlo per tutta la vita, ma certo aver avuto una luna di miele di una mezza dozzina d’anni o più aiuta molto quando si decide di ascoltare l’orologio biologico”.